Uno degli aspetti fondanti della sessualità è la sua caratteristica relazionale, la sua capacità di permettere una relazione profonda con un’altra persona. Essa soddisfa un bisogno profondo, quello di entrare in comunicazione con l’altro. Un’altra caratteristica della sessualità è la dimensione fecondativa.
Essa è la spinta a dare vita a un essere che in qualche modo sia un segno concreto dell’ unione dei due partner; questo desiderio manifesta anche il bisogno di dare un senso alla propria esistenza attraverso un rapporto affettivo profondo come è quello con un figlio.
Non dobbiamo tuttavia riferire la dimensione fecondativa solo al lato procreativo, biologico.
La generatività, non va intesa solo come possibilità di dar vita a nuovi individui, ma come la capacità insita in ogni coppia di dar vita a progetti comuni finalizzati a una crescita complessiva, nuove idee, nuove attività, nuove azioni. Si parla per esempio una relazione feconda, quando produce effetti positivi sul mondo che la circonda, o di un corso fecondo, se produce un cambiamento
PERDITA DI SENSO
Cosa succede quando interviene la sterilità, o l’infertilità biologica?
La scoperta dell’impossibilità a procreare rappresenta spesso un momento drammatico nella vita di una coppia, un periodo che causa un profondo disagio psicologico e una grande sofferenza, ed è vissuto come un vero e proprio lutto. Si tratta della perdita della propria capacità generativa e della perdita fantasmatica del figlio naturale, desiderato e mai nato.
La coppia nel periodo in cui scopre l’infertilità ha spesso un vissuto che potremmo definire come una perdita di senso: tutto ciò che si fa sembra inutile.
Spesso il desiderio del figlio è esasperato e poco per volta occupa tutta la mente della coppia, che sembra si muova solo per rimuovere il dolore della mancanza.
Il limite biologico diventa intollerabile, si soffre nel vedere una carrozzina o una donna incinta, e in un primo momento accettare il limite nel proprio corpo sembra quasi impossibile.
Questo impedimento talvolta porta a perdere di senso il proprio stare insieme, sia dal punto di vista personale che dal punto di vista coniugale e sessuale.
Anche il rapporto sessuale può venire percepito come fine a se stesso, senza senso.
Occorre tuttavia sottolineare che non dobbiamo mai considerare il figlio come unico scopo del rapporto sessuale.
Una relazione sessuale che ha come obiettivo unico quello di dar vita a una nuova creatura e non caratterizzato dall’amore dei due coniugi, rischia di strumentalizzare il rapporto e la persona dell’altro.
Anche il ricorso esasperato alla fecondazione assistita; come pure il rivolgersi senza un’adeguata riflessione all’adozione non porta la coppia a ritrovare le motivazioni della propria unione.
Il lutto quindi va riconosciuto, chiamato per nome, accettato, elaborato e superato, se si vuole ridare spessore alla propria vita personale coniugale e sessuale in tutti i suoi aspetti.
In questo caso il rapporto sessuale viene liberato dalla pretesa di generare un figlio a tutti i costi, ma viene vissuto per quello che è, un atto di amore e uno scambio.
Riconoscere e accettare dentro di sé quello che viene chiamato il lutto della sterilità, e aprirsi allo scambio emotivo con il partner rappresenta il primo passo per predisporsi al cambiamento.
Se non si riesce a fare questo percorso, la coppia rimane bloccata in una dimensione biologica e procreativa e non riesce a fare il passo per ritrovare o ampliare la dimensione psicologica e spirituale.
Ne risente così sia la relazione all’interno della coppia, sia la futura eventuale relazione con il figlio adottivo, qualora la coppia decidesse di procedere all’adozione: si rimane bloccati nel proprio problema e non si ha lo spazio per accogliere l’altro nella proprio diversità.
Un giorno un papà adottivo, durante il colloquio, ha espresso molto bene questo concetto: Mi sono accorto, ha detto, che talvolta sono talmente preso dal chiasso che c’è dentro di me, dai miei pensieri e dai miei problemi, che non riesco sempre ad ascoltare i segnali che l’altro mi offre. Il mio chiasso sovrasta i deboli segnali dell’altro.
Nella ricerca di una nuova intimità, più profonda e significativa, la coppia ritrova il senso della vita in comune, e solo così arriva ad una fecondità che non rimane bloccata in una pura dimensione generativa e biologica, ma si apre all’amore e alla apertura di sé stessi.
Si può quindi parlare di fecondità fisica ma anche di fecondità psicologica, spirituale, ed è da quest’ultima che deriva la capacità di educare i figli a sviluppare il loro progetto di vita.
IL SENSO RITROVATO
Questo ritrovamento di senso nella vita coniugale permette alla coppia di diventare davvero fertile e feconda.
In un certo senso si potrebbe arrivare a dire non esiste una coppia sterile: anche quando il rapporto sessuale non può generare figli biologici, questo, se vissuto nella donazione e nella gioia può aiutare la famiglia e i suoi membri ad aprirsi maggiormente su tutte le problematiche sociali che la circondano.
Il culmine di una relazione è rappresentata da un amore che continua a donare e a donarsi, nonostante tutto, attraverso nuove possibilità, nuovi atteggiamenti, nuove forme di affettività.
Tutto ciò comporta il ritrovamento di un atteggiamento di gratuità e di gioia, la voglia di mettersi sempre nei panni dell’altro, di ascoltarlo e di percepire i suoi cambiamenti con delicatezza e sensibilità.
Il pensare all’adozione, in questo clima di nuova fecondità è per la coppia mettere in atto un progetto d’amore che apre i coniugi ad una dimensione relazionale non solo duale, ma di comunione, di vera e profonda socialità.’