Guardo vivere questi giovani uomini che ho accanto e mi sembra di scoprirli giorno dopo giorno, come si scopre il colore di un fiore che sta sbocciando, ne osservo le sfumature, le pieghe dei petali, il modo in cui si muove sotto la brezza del mattino o sotto la luce del sole.
Osservo le lontananze, ascolto i loro silenzi e mi rendo conto che dentro il mio cuore si verifica un miracolo, una sensazione che si infiltra tra le emozioni che vivo quotidianamente e che a mano a mano diventa chiarissima dentro di me: la gioia di vedere che loro sono in grado di vivere senza di me. Li amo moltissimo e sono fiera di loro, ma pur nel distacco comprendo che il senso del mio essere mamma è proprio qui, che amore può voler lasciar andare, riscoprire attraverso le lontananze nuove relazioni e nuovi modi di stare insieme.
Pensare che anche io ho dato una mano per permettere loro di sviluppare questa loro autonomia, che anche io, con la mia vita ho insegnato loro ad affrontare le difficoltà che inevitabilmente incontreranno, mi rende ancora più orgogliosa.
Non è sempre stato facile, né per me né per loro. Alcune volte avrei voluto proteggerli dal mondo, altre volte mi è costato dire loro di no. Ricordo anni fa, la fatica nel vedere il telefono squillare e sapere che in quel momento no, non dovevo rispondere, non subito, o la pena che provavo nel fingermi distratta quando avrei voluto capire, sapere, chiedere.
Qualche volta invece sono stata davvero distratta. La fatica di vivere, il dovercela fare a tutti i costi mi ha portato talvolta a pensare più a me che a loro.
Avere un figlio è un gioco di equilibrio. Alcune volte occorre esserci, altre volte occorre fare un passo indietro e nessuno può dirti quando devi fare una cosa o l’altra. Molte volte ti accorgi di aver sbagliato, altre volte si sbaglia senza rendersene conto. Ma la domanda, “cosa fa bene a loro in questo preciso momento?” bisogna farsela. Non cosa vogliono, ma cosa fa loro bene. Credo che questo sia essenziale. Perché non sempre le due cose coincidono e questo vuol dire talvolta accettare l’idea che non te ne saranno grati, che forse non capiranno, ma che quel gesto è proprio ciò che serve a loro in quel momento.
Significa per esempio incoraggiare quei piccoli gesti di autonomia come insegnare a fare lo zaino, ma poi lasciarlo fare a loro quando vanno a scuola o non rifare la stanza di un adolescente, quando sembra che dentro la camera sia appena scoppiata una bomba. Significa lasciare che facciano qualche sforzo e che lo facciano da soli, perché la vita è così, ma significa anche esserci nel momento giusto e nel modo giusto.
Un gioco di equilibri, un esserci quotidiano, un amore continuo che qualche volta si esprime nel silenzio, nelle assenze controllate, nell’imparare a guardarli da lontano, perché la gioia più grande è sapere che saranno in grado di farcela, anche da soli.
A quel punto la relazione sarà di pura gioia, di vero amore. Quell’amore che non ti chiede di essere piccolo e dipendente per esserci. Quell’amore che sa donare.
Questo vorrei che imparassero i miei figli. Questo stanno, credo, imparando. A donare, ora che possono, ora che stanno crescendo e si stanno scoprendo adulti. Perché è quando scopri che sai vivere da solo che puoi farcela, che puoi davvero scoprire l’altro ed entrare in relazione piena con lui.